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Valeria Graziano 2022-12-02 04:13:09 -08:00
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@ -147,3 +147,148 @@ However, a precise understanding (and, consequentially, a political awareness) o
Currently there are a number of fighting and resistance practices emerging within and beyond platforms, from strike actions to individual tricks adopted to slow down. Forms of self-management / ownership of the algorithm - as experimented with by the cooperative platforms movement - are also taking hold. There are those who, in continuity with the early days of industrial production, invoke forms of Luddite sabotage. Others identify in an universal unconditional basic income the only measure capable of restoring the power of the working class of rejecting working conditions that are dangerous and humiliating. Still others are engaged in new forms of unionization, such as recent attempts at Amazon, Apple and Deliveroo. Finally, there are those who see a need to deal with a more radical transformation of the digital infrastructure that regulates not only work, but ever more ubiquitously, most aspects of life. A need for a sustainable redesign of the tech sector, one that would include a consideration of its environmental impact as well as its psychological one. There all all kinds of experimentalisms agitating in the background of the platform sector, not simply reduceable to a clear antagonism, but embracing more oblique strategies of resistance and survival.
Rather than speculating on the future directions these and other protests will contribute to shape here, we wish to conclude this work in progress sharing our conviction, which grew during these months of research, around the paramount importance to conitue keeping track, in this political conjuncture, of the mutual implications and reconfigurations of welfare and technology.
# Versione in ITALIANO: Eppure, non siamo robot
**Automazione**
Questa sezione finale raccoglie documenti, frammenti e approfondimenti che collegano le storie passate raccolte in queste pagine con il tempo presente. Gli ultimi due decenni sono stati segnati da un nuovo ciclo di automazione e da altri cambiamenti tecnologici che impattano i modi in cui le persone lavorano, si curano, vivono e protestano. Senza la pretesa di essere esaustive, abbiamo qui raccolto alcuni materiali che ci paiono entrare in risonanza con i quattro fils rouges introdotti nelle sezioni precedenti: tecniche di sfruttamento; condizioni sanitarie e ambientali; discriminazione di genere e forme di resistenza.
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**La storia da cui partiamo: Eppure, non siamo robot**
Sia *L'Ambiente di lavoro* scritto per la prima volta sulla base dellesperienze in FIAT che il pamphlet *Contro la nocività* redatto dai comitati politici di Porto Marghera concordavano nell'individuare una tendenza di medio periodo che rimane di cruciale importanza nel nostro presente: la nocività mentale.
Nel linguaggio de *L'Ambiente di lavoro*, si avanzava l'idea che mentre i primi tre fattori di nocività sarebbero stati mitigati dalle tendenze interne al capitalismo stesso, il quarto fattore relativo al benessere mentale sarebbe via via peggiorato:
![](static/images/mentale_ieri.png)
![](static/images/mentale_oggi.png)
In *Contro la nocività* si legge:
> Nella nuova fabbrica, a fronte di una modesta riduzione delle tossicità e quindi delle malattie professionali tradizionalmente intese, si assisterà a un forte aumento dei disturbi mentali.
"Contro la nocività" (Comitato Politico, 28 febbraio 1971).
Oggi sappiamo che, lungi dal diminuire o scomparire, i primi tre fattori di rischio sono stati piuttosto delocalizzati in regioni del mondo in cui le leggi sulla salute, sulla sicurezza dei lavoratori e sull'inquinamento ambientale sono lassiste, inesistenti o evitabili grazie alla corruzione. Tuttavia, l'enfasi sui fattori mentali che impattano sulla nostra vita al lavoro ha intercettato proprio ciò che le operaie della Lebole sperimentarono tra le prime in Italia con l'introduzione dei metodi MTM. Il processo di "modernizzazione" della catena di montaggio e del management - presto ribattezzata "organizzazione scientifica dello sfruttamento" - presenta numerose continuità con le attuali condizioni di lavoro in regime di gestione algoritmica.
Come disse un'operaia tessile intervistata da Luigi Firrao,
![](bib:e610c577-e6a6-4a11-9e45-dbec435f011b)
![](static/images/how_it_was.png)
Noi ci sentiamo un po le nipoti di quella ragazza di 15 anni. Non conosciamo condizioni di lavoro diverse da quelle che abbiamo ereditato come normali. Ma sappiamo almeno porre le domande necessarie per contrastare le forme contemporanee di violenza tecnica, di espoliazione algoritmica per chiedere un cambiamento non solo delle condizioni di lavoro, ma del nostro intero modo di (ri)produrre la vita?
**Dai ritmi forsennati agli algoritmi inquietanti**
> Una delle tante fonti di guadagno di Amazon è un mercato del lavoro virtuale chiamato MTurk. Si tratta di una piattaforma che consente alle aziende di assumere manodopera a basso costo e su richiesta per semplici "microcompiti" che, per un motivo o per l'altro, resistono all'automazione. Se un'azienda ha bisogno di ricontrollare dati, etichettare immagini o compilare sondaggi, può utilizzare questo marketplace per offrire lavoro a cottimo a chiunque sia disposto ad accettarlo. MTurk è l'abbreviazione di Mechanical Turk, un riferimento a una famosa bufala: un automa che giocava a scacchi ma che in realtà nascondeva una persona che faceva le mosse.
>Il nome è quindi ironico, e in modo eloquente; MTurk è un'innovazione molto apprezzata che si basa sul lavoro umano che si svolge lontano dagli occhi e dalla mente. Le aziende che approfittano dei suoi costi estremamente bassi sono forse incoraggiate a dimenticarsi o a ignorare il fatto che sono esseri umani a svolgere questi compiti routinari, spesso per pochi centesimi.
>Jeff Bezos ha descritto i microcompiti dei lavoratori di MTurk come "artificiale intelligenza artificiale"; la norma che viene imitata è quindi quella delle macchine: efficienti, economiche, in attesa, silenziose e obbedienti. MTurk chiama le sue offerte di lavoro "Compiti di intelligenza umana", come ulteriore indicazione che i compiti semplici e ripetitivi che richiedono l'intelligenza umana sono insoliti nei flussi di lavoro odierni.
- Estratto da: Daniel Affsprung, [The Past and Future of “Artificial Artificial Intelligence“, Cyborgology](https://thesocietypages.org/cyborgology/2021/04/19/the-past-and-future-of-artificial-artificial-intelligence/), _The Society Pages_, April 19, 2021. Traduzione nostra.
**Ingabbiare i lavoratori per il loro bene**
> Una gabbia per lavoratori su ruote. Sembra roba da fantascienza. Non lo è. Nel 2016, Amazon ha depositato un brevetto per un dispositivo descritto come "sistema e metodo per il trasporto di personale all'interno di un luogo di lavoro attivo". Si tratta in realtà di una gabbia abbastanza grande da contenere un operaio. È montata sopra un carrello automatizzato. Un braccio robotico è rivolto verso l'esterno.
>La gabbia per lavoratori è stata progettata dagli ingegneri robotici di Amazon. Era destinata a proteggere gli operai dei magazzini di Amazon quando devono avventurarsi in spazi in cui sfrecciano robot raccoglitori di scorte. La gabbia per lavoratori di Amazon è stata brevettata in sordina ed è arrivata all'attenzione mondiale solo grazie al diligente lavoro di due studiosi. Quando la gabbia per lavoratori ha iniziato a comparire nei titoli dei giornali, i dirigenti di Amazon l'hanno dichiarata una "cattiva idea".
>Amazon potrebbe aver abbandonato il progetto, ma liniziativa non dovrebbe sorprendere. L'azienda in realtà non ha bisogno di una gabbia robotica per i lavoratori: dispone già di uno dei sistemi di controllo più onnipervasivi della storia. Nei suoi enormi magazzini, gli operai portano con sé computer palmari che controllano i loro movimenti. Un braccialetto brevettato dall'azienda (ma non ancora in uso) è in grado di dirigere il movimento delle mani dei lavoratori utilizzando un "feedback aptico". Gli addetti alla raccolta delle scorte nei magazzini di Amazon sono sorvegliati da telecamere e, secondo quanto riferito, sono stati costretti a urinare in delle bottiglie per poter raggiungeregli gli obiettivi richiesti, e viene loro costantemente ricordato il proprio tasso di produttività. Diverse inchieste giornalistiche hanno anche rivelato un livello preoccupante di chiamate ad ambulanze inoltrate dai magazzini Amazon nel Regno Unito.
- Estratto da: Andrè Spicer, [Amazons worker cage has been dropped, but its staff are not free](https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/sep/14/amazon-worker-cage-staff), _The Guardian_, 14th September 2018. Nostra traduzione.
> Al giorno d'oggi, la salute e il benessere dei dipendenti sono la considerazione più importante sul posto di lavoro. Perché influiscono sulla produttività del singolo lavoratore e sul contributo del team. L'analisi automatica delle espressioni facciali tramite l'apprendimento automatico è diventata un'area di ricerca interessante e attiva negli ultimi decenni. Nel presente articolo, viene proposto un sistema di rilevamento delle emozioni dei dipendenti in tempo reale (RtEED) per rilevare automaticamente le emozioni dei dipendenti in tempo reale utilizzando l'apprendimento automatico. Il sistema RtEED aiuta il datore di lavoro a controllare il benessere dei dipendenti e le emozioni identificate saranno comunicate ai rispettivi dipendenti tramite messaggi. In questo modo i dipendenti possono prendere decisioni migliori, migliorare il loro livello di concentrazione sul lavoro e adottare uno stile di vita più sano e produttivo. Per addestrare il modello di apprendimento automatico vengono utilizzati i dati CMU Multi-PIE Face. Ogni dipendente sarà dotato di una webcam per catturare la sua espressione facciale in tempo reale. Il sistema RtEED è stato progettato per identificare sei emozioni come felicità, tristezza, sorpresa, paura, disgusto e rabbia attraverso l'immagine catturata. I risultati dimostrano che gli obiettivi ipotizzati sono stati raggiunti.
- Estratto da: K. S. Chandraprabha, A. N. Shwetha, M. Kavitha and R. Sumathi, [Real time-Employee Emotion Detection system (RtEED) using Machine Learning](https://ieeexplore.ieee.org/abstract/document/9388510), 2021 Third International Conference on Intelligent Communication Technologies and Virtual Mobile Networks (ICICV), 2021, pp. 759-763, doi: 10.1109/ICICV50876.2021.9388510. Nostra traduzione.
**Come stiamo? Sul degrado della salute planetaria**
> Le malattie sono uno degli specchi più fedeli del modo in cui l'uomo entra in rapporto con la natura, di cui fa parte, attraverso il lavoro, la tecnica e la cultura, cioè attraverso il cambiamento dei rapporti sociali e le acquisizioni scientifiche storicamente progressive.
- Giovanni Berlinguer, introduzione al convegno "La medicina e la società contemporanea", Istituto Gramsci, 1967
Il secondo dopoguerra ha visto una serie di lotte per il riconoscimento della salute come bene comune. Molte persone si sono battute affinché le pratiche sanitarie fossero sostenute dal settore pubblico e le cure fossero rese disponibili universalmente e gratuitamente al momento dell'uso (cioè sostenute economicamente attraverso la fiscalità generale). Alcune di queste lotte hanno avuto più successo, altre meno, ma ogni volta che si è verificato un cambiamento in positivo non si è trattato solamente di implementare una decisione dall'alto, ma questo è stato il risultato di mobilitazioni complesse che spesso hanno creato connessioni trasversali tra persone impattate, attivisti e tecnici.
Ci siamo qui concentrate sull'Italia non solo perché è il nostro contesto d'origine, ma anche perché nei decenni '60 e '70 il nostro paese è stato un laboratorio politico estremamente vivace e motlo significativo anche al di fuori del suo contesto specifico.
In questi decenni l'Italia fu sottoposta a una rapida industrializzazione che modificò profondamente i modelli di vita e di produzione. Il lavoro in catena di montaggio, organizzato secondo i principi del management scientifico, era brutale, pericoloso, velenoso e mentalmente alienante. Non deve sorprendere, quindi, che le lotte per la salute siano state in gran parte lotte della classe operaia, che affrontarono contemporaneamente questioni legate alle condizioni sul posto di lavoro, al degrado ambientale, ai ruoli di genere e alle opportunità aperte (o chiuse) dall'innovazione tecnologica.
All'indomani della crisi neoliberale della cura e della più recente pandemia, molti immaginari politici legati alla tutela della salute collettiva guardano alloperato delle reti di mutuo soccorso e altre iniziative di solidarietà dal basso. Difatti molte realtà che si battono per un'assistenza più accessibile e inclusiva si configurano ad oggi come pratiche auto-organizzate fuori dal contesto istituzionale. Molti attivisti e organizzatori criticano aspramente i servizi sanitari pubblici, percepiti come negligenti ed eccessivamente burocratici nel migliore dei casi, incompetenti e punitivi nel peggiore.
Guardare alle lotte italiane per la salute degli anni Sessanta e Settanta ci sembra un compito rilevante oggi, perché questa storia ci ricorda una possibilità diversa per ri-orientare i nostri immaginari politici. Piuttosto che presentare le pratiche autonome e auto-organizzate come l'opposto o il fuori rispetto alle infrastrutture pubbliche languenti, queste lotte ci ricordano che una diversa composizione di forze è stata e forse è ancora possibile, dato che lallineamento strategico di queste diverse lotte portò alla creazione di un sistema sanitario pubblico nel 1978.
La pressione per creare tale sistema sanitario pubblico scaturí da un'alleanza senza precedenti tra forze politiche di sinistra, esperienze avanzate di rinnovamento della pratica medica, attivismo sanitario radicale, lotte dei sindacati, gruppi di lavoratori, movimenti studenteschi e femministi.Abbandonando la tradizione di un sistema sanitario corporativo, con la sua copertura limitata a gruppi professionali separati, la riforma italiana introdusse un servizio sanitario finanziato dalla fiscalità generale e liberamente accessibile a tutti.
La riforma del 1978 instituí un servizio sanitario universale e gratuito, che offriva un'ampia gamma di prestazioni al di fuori del mercato, sul modello del NHS britannico e che rifletteva la definizione di salute formulata dall'OMS nel 1946.
Il legame tra le lotte politiche e il nuovo sistema sanitario diventa evidente esaminando il modo in cui questultimo fu progettato nella sua concezione originaria (anche se molto presto questa impostazione venne corrotta da una serie di modifiche reazionarie alla legge). In diversi settori - salute mentale, salute sul lavoro, salute delle donne, trattamenti farmacologici - si generarono nuove conoscenze sulla prevenzione delle malattie, nuove pratiche di erogazione dei servizi e accordi istituzionali innovativi, con una forte enfasi sui servizi territoriali che affrontavano insieme bisogni sanitari e sociali. L'eredità dei movimenti politici era palpabile nella visione integrata della salute - fisica e psichica, individuale e collettiva, legata alla comunità e al territorio - che emergeva nel SSN. Le lotte politiche per la salute erano state chiare nella loro proposta: era necessario un nuovo tipo di rapporto medico-paziente, meno gerarchico e l'assistenza sanitaria doveva essere legata ai territori e, per quanto possibile, condotta in modo partecipativo. Gli approcci preventivi, piuttosto che curativi, erano centrali in questa visione. Tale strategia politica trattava la salute come una risultante tra condizioni comuni e esperienza individuale; erano quindi necessarie lotte collettive per affrontare le radici economiche e sociali delle malattie e dei problemi di salute pubblica. Non a caso, questo approccio emerse in parallelo al movimento femminista che metteva a tema nello stesso periodo i problemi di salute delle donne, inventando i consultori autogestiti. Come sostenuto da Giulio Maccacaro nel 1976, la strategia delle lotte italiane per la salute fu una "politicizzazione della medicina" dal basso verso l'alto, che metteva in discussione il modo in cui il capitalismo industriale sfruttava i lavoratori e minava le condizioni sanitarie e sociali del Paese.
Politicizzare gli esperti, ancora e ancora
La pandemia di Covid-19 ha riportato al centro dell'attenzione il rapporto tra sapere medico-scientifico e strategie politiche in campo sanitario, lo stesso rapporto che è stato al centro delle lotte storiche sulla sanità che abbiamo incontrato negli archivi. Durante la pandemia, le dinamiche decisionali relative alla gestione della crisi sanitaria sono state caratterizzate da molte difficoltà che hanno fatto emergere alcuni aspetti chiave del rapporto tra governati e governanti, tra i cosiddetti "esperti" e coloro che non lo sono; in altre parole, i nodi cruciali ed essenziali dell'ordine democratico. Su questo terreno sono emersi tutti i segni critici che caratterizzano gli attuali processi di spoliticizzazione che la governance neoliberista ha generato negli ultimi decenni.
Vogliamo essere chiare: il contributo degli esperti è rilevante per prendere decisioni il più possibile consapevoli, a maggior ragione in situazioni di emergenza sanitaria; tuttavia, il ricorso massiccio ai tecnici rischia di sostituirsi alla responsabilità della politica e delle istituzioni, di presentare le soluzioni come indiscutibili, solo perché "tecnicamente" fondate, senza una discussione comune su cosa serva e quali siano le priorità.
Durante la pandemia, questa esclusione ha definito almeno due diversi modelli di cura, di presa in carico dell'emergenza. Da un lato, la cura proposta dai governi, che è stata spesso retorica e settoriale. Pensiamo ad esempio a tutti i corpi che sono stati incaricati delle crescenti necessità di cura, senza ricevere in cambio alcun aumento di salario, o almeno un aumento delle condizioni di sicurezza in cui lavoravano. Dall'altro lato, abbiamo il modello di assistenza promosso dai collettivi di solidarietà e di mutuo soccorso, nei quartieri e in piccoli gruppi, il cui obiettivo è stato quello di ridistribuire il più possibile le risorse necessarie per affrontare l'emergenza, denunciando al contempo le condizioni estremamente disastrate in cui versavano i servizi pubblici, a causa di decenni di disinvestimento strategico.
**Il femminile macchinico: Termini di servizio**
I termini di servizio, e il termine stesso “servizio”, pur essendo perfettamente accettabili e di uso corrente oggi nelle descrizioni di mansioni di ogni tipo, condividono una lunga storia con l'asimmetria di potere e la violenza strutturale della "servitù". Il passaggio epocale dalla servitù domestica all'assunzione di collaboratrici domestiche non ha dissipato del tutto le contraddizioni in gioco in questo tipo di impiego. Il lavoro servile e quello di servizio condividono al centro della loro prassi organizzativa una logica di occultamento degli attori e delle operazioni. Condividono le tecniche per nascondere la sgradevolezza del lavoro (risentimento, fatica, noia, umiliazione e così via) sotto uno spesso strato di lavoro emotivo e di attenzione. Questo crea un ambiente sociale favorevole alle relazioni di cura unidirezionali, un problema che le studiose femministe considerano ancora irrisolto. Pare rilevante oggi prendere spunto dalla critica femminista alla continuità tra servitù, servizio e aspettative patriarcali di comfort e comodità nella vita quotidiana. Tali presupposti culturali hanno fornito la base per lo sviluppo di una pletora di nuovi strumenti digitali e di servizi mediati da piattaforme: è in questo frangente che la logica dell'invisibilizzazione del lavoro propria della servitù viene potenziata dalla tendenza della tecnologia ad allontanarsi dalla coscienza.
**Riproduzione sociale e iperlavoro**
> Le storie delle macchine, della femminilità e del lavoro salariato sono state a lungo intese come profondamente intrecciate e reciprocamente costitutive. Questa fusione tra donna, macchina e lavoro prende una nuova direzione nel XXI secolo, con l'avvento degli "assistenti digitali". Queste applicazioni sono navigatori della conoscenza, disponibili all'interno di vari sistemi operativi, che riconoscono il linguaggio naturale e utilizzano questa capacità per rispondere alle domande dell'utente e per aiutarlo in compiti organizzativi, come programmare riunioni o impostare promemoria. Il più famoso di questi è Siri di Apple, ormai ampiamente riconosciuto come la voce dell'iPhone, ma ne esistono molti altri, tra cui GoogleNow e Cortana di Microsoft, che svolgono tutti funzioni simili con diversi gradi di efficienza. Le connessioni tra questi assistenti digitali e le convenzioni del lavoro impiegatizio di basso livello sono evidenti; Microsoft è arrivata persino a intervistare delle PA (personal assistants) umane durante lo sviluppo di Cortana, e un recensore della rivista Wired ha dichiarato che usare Siri è: "un po' come avere lo stagista non pagato dei miei sogni ai miei ordini, che organizza la mia vita per me" (Chen, 2011: n.p.). Queste applicazioni rappresentano, per molti aspetti, l'automazione di quello che tradizionalmente è stato considerato lavoro da donne. [...] Ciò ci porta al tema dell'"iperoccupazione". Cosa intendiamo con questo termine? L'iperoccupazione è un'idea, avanzata da Ian Bogost, che collega gli sviluppi tecnologici contemporanei con un cambiamento qualitativo e quantitativo dei carichi di lavoro personali. La sua tesi è che la tecnologia, lungi dall'agire come un risparmio di manodopera, sia in realtà generatrice di un numero sempre maggiore di compiti e responsabilità.
- Estratto da: Helen Hester, [Technically Female: Women, Machines, and Hyperemployment](https://salvage.zone/technically-female-women-machines-and-hyperemployment/), Salvage magazine, 2016. Nostra traduzione.
**Suona femmina, perlomeno**
> Una volta che si inizia a prestarci orecchio, non si riesce a smettere di sentirla. La voce - femminile, o almeno dal suono femminile, voci "vere" preregistrate o toni meccanizzati o, spesso, uno strano miscuglio di entrambi - domina il paesaggio sonoro. Dalle casse del supermercato con le loro caste domande materne ("ha strisciato la sua carta Nectar?") alle ripetute affermazioni sulle modalità della paranoia securitaria ("in questi tempi di maggiore sicurezza"), la voce femminile opera come risorsa centrale nella continua securizzazione e nel controllo dello spazio contemporaneo, attraversando quel poco che resta della sfera pubblica e fornendo l'apparenza e l'illusione di efficienza, calma e rassicurazione negli ambienti commerciali.
- Estratto da: Nina Power, [Once You Start Listening You Cant Stop Hearing It](https://ninapower.net/2017/12/07/once-you-start-listening-you-cant-stop-hearing-it/), _The Wire_ n. 352, June 2013.Nostra traduzione.
**Trucco per la voce**
> L'accento è un ostacolo costante per milioni di operatori dei call center, soprattutto in paesi come le Filippine e l'India, dove un'intera industria di "neutralizzazione dell'accento" cerca di addestrare i lavoratori a parlare in modo più simile ai clienti occidentali che chiamano, spesso senza successo. Come riporta SFGate questa settimana, Sanas spera che la sua tecnologia possa fornire una scorciatoia. Utilizzando i dati relativi ai suoni dei diversi accenti e alla loro corrispondenza, il motore AI di Sanas è in grado di trasformare l'accento di un parlante in un altro - e al momento l'obiettivo è far suonare i non americani come gli americani bianchi. [...] Narayana ha detto di aver accolto le critiche, ma ha sostenuto che Sanas si avvicina al mondo così com'è. "Sì, è sbagliato, e noi non dovremmo esistere affatto. Ma nel mondo esistono molte cose: perché esiste il trucco? Perché le persone non riescono ad accettare il loro modo di apparire? È sbagliato il modo in cui va il mondo? Assolutamente sì. Ma allora lasciamo che gli operatori [di call centre] soffrano? Ho costruito questa tecnologia per loro, perché non voglio che passino quello che ho passato io". Il paragone con il trucco è inquietante. Se la società - o, per esempio, un datore di lavoro - obbliga alcune persone a truccarsi, si tratta di una vera scelta? Anche se Sanas inquadra la sua tecnologia come opt-in, non è difficile immaginare un futuro in cui questo tipo di "trucco" algoritmico diventerà sempre più disponibile, e persino obbligatorio.
- da: Wilfred Chan, [The AI startup erasing call center worker accents: is it fighting bias or perpetuating it?](https://www.theguardian.com/technology/2022/aug/23/voice-accent-technology-call-center-white-american), _The Guardian_, 24th August 2022. Nostra traduzione.
**Conclusioni temporanee**
Attraverso le pagine e i documenti raccolti in *Ritmi da pazzia* abbiamo spacchettato la storia delle operaie della Lebole per districare alcuni degli aspetti che hanno caratterizzato le loro condizioni di vita, di lavoro e di lotta. Nel tempo trascorso in archivio abbiamo ripercorso alcuni dei dibattiti, dei termini chiave e delle originali tecniche organizzative che hanno caratterizzato i decenni '60 e '70, anni che come abbiamo visto hanno segnato il passaggio epocale a un nuovo livello di tecnologizzazione del lavoro. Il nostro girovagare tra i numerosi ritagli di giornale e i dattiloscritti è stato contemporaneamente una ricerca di strumenti di lettura del presente.
Un presente che abbiamo poi iniziato a mappare attraverso una serie di interviste approfondite e semi-strutturate con quindici lavoratori impiegati in settori professionali diversi, ma tutti accomunati da uno stretto rapportarsi con le tecnologie digitali come parte della loro esperienza lavorativa. Siamo estremamente grate a tutt* coloro che hanno dedicato del tempo a parlare con noi, condividendo storie a volte difficili sulla propria vita lavorativa e sui rapporti con colleghi, clienti e capi (spesso algoritmici). Queste conversazioni sono state ulteriori punti di ingresso nel panorama in ebollizione del lavoro su piattaforma e della gig economy.
In Italia (INAP) ci sono oltre 570.000 lavoratori su piattaforme digitali, l'1,3% della popolazione nazionale. Si tratta di rider, fattorini, formatori di AI, compilatrici di dati, creatrici di contenuti, lavoratori del sesso e molti altr*. Il 50,7% di loro è finito in questo tipo di lavoro perché non aveva altre alternative. Per il 48% di loro, il lavoro su piattaforma è la principale fonte di reddito.
Cosa emerge dalla giustapposizione tra storie passate e presenti che descrivono l'ambiente di lavoro e il suo impatto sulla salute?
Innanzitutto, abbiamo trovato molte linee di continuità, a volte sorprendenti. Non solo i ritmi ossessivi del lavoro, ma anche la stanchezza per gli effetti della tecnologia sulla salute psichica e fisica; una descrizione del lavoro sempre più "scriptata" o coreografata, in cui non solo i compiti, ma anche i comportamenti e i movimenti sono meticolosamente monitorati; la ricerca di modi per espandere le lotte al di là dei luoghi di lavoro, per includere richieste relative alla cura dell'ambiente e alla riorganizzazione della riproduzione sociale; la volontà di politicizzare il ruolo degli esperti, percepiti come distanti e inconsapevoli delle esperienze reali dei lavoratori. Ma abbiamo anche trovato alcune spaccature, che segnano linee di discontinuità. Ad esempio, la separazione tra i corpi al lavoro e le conseguenze che l'organizzazione spaziale e temporale contemporanea del lavoro sta avendo su una solidarietà sociale sempre più debole. L'isolamento e la solitudine sono aumentati molto nei racconti contemporanei (come ha detto uno dei nostri intervistati, Cadmioboro: "siamo tutti soli").
Come le Leboline, le lavoratrici e i lavoratori che abbiamo intervistato si trovano in un panorama tecnologico molto "giovane". Ad esempio, Angelo Junior Avelli ci ha ricordato che l'introduzione delle piattaforme di food delivery in Italia risale solo al 2015, e un solo anno di distanza assistiamo già alla prima azione di sciopero nel settore da parte dei lavoratori di Foodora, seguita nel 2017 da molte altre mobilitazioni, tra cui quella di Deliveroo, che ha portato all'approvazione della legge n. 128 nel 2019, una legge che istituisce alcune misure di tutela per i rider e altri lavoratori delle piattaforme, tra cui una copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e l'introduzione di un salario di base. Questo fa il paio con le storie che Luigi Firrao ha ascoltato dalle operaie della Lebole intervistate nel 1967 e nel 1969, le quali ebbero bisogno di un po' di tempo per organizzare i loro sforzi e formulare richieste controi nuovi ritmi di sfruttamento dettati dal metodo MTM.
Tuttavia, la diffusione di una precisa comprensione dei meccanismi che organizzano il lavoro digitale (e, di conseguenza, una consapevolezza politica) è molto disomogenea tra chi vi lavora oggi. Emerge una fatica a trovare luoghi comuni (virtuali o nella vita reale) dove condividere le proprie conoscenze. Non è un caso che il gruppo più visibile, quello dei rider, condivida anche una maggiore visibilità negli spazi pubblici e possibilità di incontri personali, rispetto a molti altri tipi di lavoro su piattaforma.
Attualmente stanno emergendo una serie di pratiche di lotta e resistenza all'interno e al di fuori delle piattaforme, dalle azioni di sciopero a strategie individuali adottate per rallentare i ritmi e aggirare i controlli. Stanno prendendo piede anche forme di autogestione e co-proprietà all'algoritmo, come nelle sperimentazioni portate avanti dal movimento delle piattaforme cooperative (platform cooperativism). Inoltre c'è chi, i sta invocando nuove forme di sabotaggio luddista, in continuità con quanto accadde durante i primi tempi della rivoluzione industriale. Altri ancora individuano nel reddito di base universale e incondizionato l'unica misura in grado di restituire alla classi subalterne il potere di rifiutare condizioni di lavoro pericolose e umilianti. Altri ancora si stanno impegnandoi in nuove forme di sindacalizzazione, come in recenti tentativi presso Amazon, Apple e Deliveroo. Infine, c'è chi vede la necessità di affrontare una trasformazione più radicale dell'infrastruttura digitale che regola non solo il lavoro, ma, in modo sempre più ubiquo, la maggior parte degli aspetti della vita. È necessaria una riprogettazione sostenibile del settore tecnologico, che tenga conto sia del suo impatto ambientale che psicologico. Sullo sfondo delleconomia di piattaforme si agitano sperimentalismi di ogni tipo, non semplicemente riducibili a un chiaro antagonismo, ma che abbracciano strategie più oblique di resistenza e sopravvivenza. Piuttosto che speculare sulle direzioni future che queste e altre proteste contribuiranno a delineare, desideriamo concludere questo zine e riflessione ancora aperta condividendo la nostra convinzione, maturata in questi mesi di ricerca, sull'importanza fondamentale di continuare a tenere traccia, in questa congiuntura politica, delle reciproche implicazioni e riconfigurazioni di infrastrutture del welfare e tecnologia.