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Tomislav Medak 2021-08-30 05:45:16 -07:00
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> Non può essere lo Stato, avevo detto, a risolvere la questione meridionale, per la ragione che quello che noi chiamiamo problema meridionale non è altro che problema dello Stato. Fra lo statalismo fascista, lo statalismo liberale, lo statalismo socialistico, e tutte quelle altra future forme di statalismo che in un paese piccolo-borghese come il nostro cercheranno di sorgere, e lantistatalismo dei contadini, cè, e ci sarà sempre, un abisso; e si potrà cercare di colmarlo soltanto quando riusciremo a creare una forma di Stato di cui anche i contadini si sentano parte. Le opere pubbliche, le bonifiche, sono ottime cose, ma non risolvono il problema. La colonizzazione interna potrà avere dei discreti frutti materiali, ma tutta lItalia, non solo il mezzogiorno, diventerebbe una colonia. I piani centralizzati possono portare grandi risultati pratici, ma sotto qualunque segno resterebbero due Italie ostili. Il problema di cui parliamo è molto più complesso di quanto pensiate. Ha tre diversi aspetti, che sono le tre facce di una sola realtà, e che non possono essere intese né risolte separatamente. Siamo anzitutto di fronte al coesistere di due civiltà diversissime, nessuna delle quali è in grado di assimilare laltra. Campagna e città, civiltà precristiana e civiltà non più cristiana, stanno di fronte; e finché la seconda continuerà ad imporre alla prima la sua teocrazia statale, il dissidio continuerà. La guerra attuale, e quelle che verranno, sono in gran parte il risultato questo dissidio secolare, giunto ora alla sua più intensa acutezza, e non soltanto in Italia. La civiltà contadina sarà sempre vinta, ma non si lascerà mai schiacciare del tutto, si conserverà sotto i veli della pazienza, per esplodere di tratto in tratto; e la crisi mortale si perpetuerà. Il brigantaggio, guerra contadina, ne è prova: e quello del secolo scorso non sarà lultimo. Finché Roma governerà Matera, Matera sarà anarchica e disperata, e Roma disperata e tirannica. Il secondo aspetto del problema è quello economico: è il problema della miseria. Quelle terre si sono andate progressivamente impoverendo; le foreste sono state tagliate, i fiumi si sono fatti torrenti, gli animali si sono diradati, invece degli alberi, dei prati e dei boschi, ci si è ostinati a coltivare il grano in terre inadatte. Non ci sono capitali, non cè industria, non cè risparmio, non ci sono scuole, lemigrazione è diventata impossibile, le tasse sono insopportabili e sproporzionate: e dappertutto regna la malaria. Tutto ciò è in buona parte il risultato delle buone intenzioni e degli sforzi dello Stato, di uno stato che non sarà mai quello dei contadini, e che per essi ha creato soltanto miseria e deserto. Infine cè il lato sociale del problema. Si usa dire che il grande nemico è il latifondo, il grande proprietario; e certamente, là dove il latifondo esiste, esso è tuttaltro che una istituzione benefica. Ma se il grande propietario, che sta a Napoli, a Roma, o a Palermo, è un nemico dei contadini, non è tuttavia il maggiore e il più gravoso. Egli almeno è lontano, e non pesa quotidianamente sulla vita di tutti. Il vero nemico, quello che impedisce ogni libertà e ogni possibilità di esistenza civile ai contadini, è la piccola borghesia dei paesi. È una classe degenerata, fisicamente e moralmente: incapace di adempiere la sua funzione, e che solo vive di piccole rapine e della tradizione imbastardita di un diritto feudale. Finché questa classe non sarà soppressa e sostituita non si potrà pensare di risolvere il problema meridionale. - ![](author:carlolevi.md)
from !["Cristo si è fermato a Eboli"](bib:cbc6c60e-b456-4a89-8d27-c95d5a8717c3)
from "Cristo si è fermato a Eboli" (![](bib:cbc6c60e-b456-4a89-8d27-c95d5a8717c3))